Azione Cattolica Ambrosiana, Aimc, Associazione Italiana Maestri Cattolici delle province della Diocesi di Milano, Uciim, Unione Cattolici Italiani Insegnanti Medi della Provincia di Milano, hanno elaborato un documento congiunto sulla Riforma della Scuola Superiore recentemente approvata che pubblichiamo qui di seguito.
L’iter di riforma della scuola è giunto al termine con un’operazione di riordino conclusa con l’emanazione degli ultimi regolamenti relativi alla legge 53/2003. E’ stato un processo lungo, che ha attraversato più legislature. Questo punto d’arrivo non può non suscitare l’attenzione da parte di associazioni che specificatamente hanno a cuore la dimensione educativa dei giovani e la formazione dei docenti. Il documento prodotto intende offrire a un pubblico non necessariamente di addetti ai lavori alcune chiavi di lettura riguardo i provvedimenti ultimi assunti e indicare passi possibili ulteriori per sostenere l’impegno educativo e formativo della scuola.
L’iter di riforma della scuola è giunto al termine con un’operazione di riordino conclusa con l’emanazione degli ultimi regolamenti relativi alla legge 53/2003. E’ stato un processo lungo, che ha attraversato più legislature, dal governo Prodi con il ministro Berlinguer a fine anni ’90, al governo Berlusconi con il ministro Moratti, ripreso dal ministro Fioroni del breve governo Prodi e ora giunto a capolinea con il ministro Gelmini: molti governi di diverso colore per confermare un progetto di riforma che più appropriatamente somiglia a un riordino della scuola italiana, con una riduzione di tempo –scuola e una semplificazione di percorsi per la secondaria, che lasciano però sussistere quattro diversi percorsi – tra loro poco comunicanti – per soddisfare l’obbligo scolastico e/o giungere al diploma [formazione professionale regionale, istituto professionale (sei indirizzi), tecnico (due macroaree con undici indirizzi), liceo (sei indirizzi)]. Dopo un dibattito pluridecennale e un iter legislativo superiore a dodici anni quanto è stato approvato sembra essere il massimo possibile: un riordino amministrativo dell’esistente, dettato da esigenze economiche.
Una prima considerazione si impone: arrivare a un punto fermo per la scuola è necessario. Le riforme annunciate e rinviate hanno tenuto fin troppo in sospeso il complesso mondo della scuola che ha bisogno di punti fermi e stabili per poter avviare processi di formazione del personale, progettazione con il territorio, attuazione delle possibilità, che l’autonomia prevede.
Ne segue una seconda: questa conclusione, benché necessaria, è insufficiente. Non solo infatti ai regolamenti emanati mancano alcuni tasselli importanti come la definizione dei passi per la formazione dei futuri docenti e degli organi collegiali, bensì manca un’idea di fondo. Parliamo infatti di riordino e non di una “riforma” che avrebbe forse dovuto prevedere un progetto nuovo, più ambizioso a livello culturale e didattico, almeno all’altezza dei valori sempre rimarcati dai progetti di legge via via emanati, che in genere esordivano con queste parole: “Al fine di favorire la crescita e la valorizzazione della persona umana, nel rispetto dei ritmi dell’età evolutiva, delle differenze e dell’identità di ciascuno e delle scelte educative della famiglia, nel quadro della cooperazione tra scuola e genitori, in coerenza con il principio di autonomia delle istituzioni scolastiche e secondo i principi sanciti dalla Costituzione, il Governo emana…. (legge 53 28 marzo 2003, art 1).
Dopo un lungo iter che ha coinvolto intellettuali, pedagogisti, esperti di diversa formazione culturale, pare che dalla politica non ci si possa aspettare altro, soprattutto manca un’idea di scuola, di un senso per il quale oggi valga la pena affrontare l’avventura bella e onerosa della scuola. Questa lacuna, espressa tra le righe dallo stesso Consiglio di Stato, non è attribuibile solo alla politica: purtroppo manca nel nostro Paese un’attesa positiva e costruttiva riguardo alla scuola. Per adulti e giovani, in larga maggioranza, essa è come una pratica da sbrigare, un male necessario, come le tasse, distante dai mondi vitali che ne motiverebbero l’esistenza.
Eppure non mancherebbero le ragioni per guardare con interesse al “laboratorio scuola” quale luogo di scoperta di sé, socializzazione, integrazione, crescita culturale, sviluppo di competenze, educazione alla cittadinanza, ingredienti indispensabili in un paese in così forte trasformazione sociale e demografica come il nostro. Negli ultimi dieci anni infatti il 10% della popolazione scolastica ha cambiato volto, origine, cultura; si sono imposte nuove sfide etiche nei dibattiti e nelle scelte dei cittadini; è stato introdotto l’euro e si sono allargati i confini dell’Unione Europea; si sono modificati gli equilibri economici; è finita l’era di Yalta e siamo entrati in un nuovo ordine mondiale.
Ne viene una terza considerazione: il riordino giunge al traguardo, ma questo punto non può essere interpretato come una conclusione. Solo la politica, così come ha potuto e voluto, ha terminato la sua parte. Ora la parola passa alle scuole, alle famiglie, ai cittadini perché molto resta ancora da pensare e da fare. Da dove ripartire? Alla luce della nostra sensibilità educativa e formativa riteniamo che si debba seriamente ripartire dalla centralità delle persona (studente o docente), pensata dentro un trama di relazioni sociali importanti, ragioni per le quali la scuola ha un valore strategico nella crescita di un Paese, un valore che l’attuale dibattito ecclesiale sulle sfide educative può aiutare ad approfondire.
Una pista preziosa da seguire è data dalle leggi via via promulgate che sempre hanno posto in rilievo i valori contenuti nella nostra Costituzione, valori che chiedono non solo di essere enunciati, ma tradotti in pratica, in progetti culturali aggiornati e stili formativi. Il testo della Costituzione, redatto più di sessant’anni fa, mantiene la sua attualità e le potenzialità per pensare ancora oggi il nostro Paese, divenuto nel frattempo multiculturale, multietnico, luogo di immigrazione dopo decenni di emigrazione, ottava potenza mondiale a livello economico. Tornare a pensare a partire dal dettato costituzionale è un compito possibile e necessario per dare anima alla scuola e per comprendere la sua decisività per formare giovani dialogici, capaci di convivenza in un contesto pluralista, democratico, europeista, capaci di abitare e di edificare una società realmente multiculturale, integrata, non impaurita, disponibile ad offrire a ciascuno pari opportunità di riuscita.
Una seconda via da incoraggiare è quella che invita ancora a riscoprire il valore della partecipazione responsabile nei luoghi di confronto tra scuola, extrascuola ed enti locali, cercando di utilizzare tutti gli strumenti che l’autonomia scolastica rende possibile per un’azione coordinata e costruttiva nei quartieri e nelle città. I valori contenuti e riscoperti nella Costituzione chiedono infatti di tradursi in processi di cittadinanza attiva. La sfida educativa evocata da molti non può rimanere oggetto di dibattito teorico ma chiede luoghi, energie anche economiche, intelligenza e cuore. In questo senso urge il completamento della revisione degli organismi che governano sia le autonome scolastiche che l’intero sistema d’istruzione e formazione: la scuola dell’autonomia e del futuro deve essere affidata alla cura di tutta la comunità educativa, con organi collegiali democraticamente eletti e di effettiva capacità gestionale.
Infine dal legislatore ancora si attendono alcuni provvedimenti, in particolare l’indicazione dell’iter di formazione dei docenti iniziale e in servizio, punto non determinabile solo dalle leggi, ma bisognoso di una rigenerazione di motivazioni da parte di chi fa dell’insegnamento e della dimensione scolastica una professione durevole, e da parte del Paese che investe nella qualità dei suoi formatori.
Dunque poche semplici idee rispetto al complesso e intricato mondo della scuola sottoposto a riordino lento: legge necessaria ma insufficiente rispetto alle attuali sfide; possibile punto di partenza da parte di un Paese, di cittadini e anche dell’intera Chiesa italiana, tutti chiamati in primo luogo a rispondere persuasivamente e in un confronto costruttivo alla domanda: “che senso ha oggi andare a scuola?”
La Presidenza Diocesana dell’Azione Cattolica Ambrosiana
La Presidenza dell’AIMC delle diverse province della Diocesi di Milano
La Presidenza dell’UCIIM della Provincia di Milano
AIMC: Associazione Italiana Maestri Cattolici – associazione nata nel 1945 libera e democratica che riunisce docenti, dirigenti scolastici e dirigenti tecnici della scuola dell’infanzia e del primo ciclo d’istruzione, persone che scelgono di testimoniare i valori evangelici mediante la professione.
UCIIM: Unione Cattolici Italiana Insegnanti Medi – associazione professionale cattolica nata nel 1944 per iniziativa del prof. Nosengo G. convinto che scuola e democrazia costituissero il cardine dello sviluppo del Paese.
Entrambe hanno sempre avuto una stretta relazione agli inizi e nel vissuto successivo con l’AC.
Scarica file del documento: Provvedimento necessario-AC AIMC UCIIM-2.pdf