Dall’organico di diritto… all’organico fatto

Comunicato

 

L’Associazione Italiana Maestri Cattolici (AIMC), riguardo la Circolare inerente l’adeguamento degli organici di diritto alle situazioni di fatto, si sofferma su alcune delicate questioni:

– il carattere di non obbligatorietà della scuola dell’infanzia, ancora una volta, ne penalizza la generalizzazione ed estensione: a tal proposito, si auspica che il MIUR, attraverso accordi con le Regioni, possa reperire risorse necessarie per garantirne la diffusività sul territorio nazionale in linea con la precedente normativa nazionale e con le direttive internazionali;

– il richiamo a evitare soluzioni organizzative frammentarie, che penalizzano la proposta formativa della lingua inglese nella scuola primaria e dell’approfondimento nelle materie letterarie nella scuola secondaria di 1° grado, risulta complessivamente positivo; tuttavia, il rispetto di tali vincoli e raccomandazioni limita, di fatto, l’autonomia didattica e organizzativa delle scuole e potrebbe interrompere situazioni di continuità didattica e d’insegnamento condivise con i docenti coinvolti, portando i Collegi dei docenti a deliberare criteri che rischierebbero di configgere con l’organizzazione oraria di altre discipline;

– l’indicazione, di massima, di limitare la costituzione di classi con più di 20 alunni in presenza di un alunno disabile grave o di due alunni disabili, già in parte disattesa con l’organico di diritto, risulta poco praticabile in sede di organico di fatto, considerate le scarse possibilità di sdoppiamento delle classi.

    L’AIMC ritiene opportuno che, proprio in vista di una crescita dell’autonomia della scuola e delle professionalità in esse presenti, operazioni come l’adeguamento dell’organico di fatto diventino in futuro strumenti di compensazione di situazioni che hanno avuto variazioni, ma non di certo mezzi attraverso i quali limitare ulteriormente flessibilità organizzativa e progettualità nei territori.

Roma, 26 luglio 2011
La presidenza nazionale AIMC

Ragioni, significati, prospettive dell’appartenenza all’AIMC

 

Le ragioni di adesione all’Aimc non sono fondate sulle strutture organizzative dell’Associazione, ma vanno cercate nelle intenzioni, nello sforzo intellettuale e nel cuore di ciascuna persona che si accosta alla proposta associativa.

L’Aimc non è un’associazione di tipo primario che fa parte delle dinamiche quotidiane e dei beni semplici, immediati e centrati su bisogni vitali che costruiscono le relazioni tra le persone.

L’Aimc è associazione che fonda le sue radici nella professione educativa della docenza e della dirigenza scolastica e fa leva sulla responsabilità delle persone nei confronti di se stesse, dei propri familiari, delle persone che sono affidate, della società e della Repubblica. Il mandato educativo trova le basi nei diritti del professionista di scuola ad usufruire di tutte le condizioni per esercitare le attività specifiche e sviluppare le proprie competenze, ma anche dei doveri a perseguire con lealtà, solerzia e operosità i fini dell’attività stessa; ad assicurare i fini istituzionali e a realizzare ogni lavoro a regola d’arte.

Le ragioni dell’aderire all’AIMC partono dunque dall’essere lavoratore e lavoratrice nel campo educativo scolastico, inseriti in una organizzazione quale la scuola e il sistema scolastico, e pertanto mettono in gioco in primo luogo l’idea stessa di lavoro come opportunità e cammino verso cui lasciarsi educare e, al tempo stesso, educare.

 

Cosa si cerca nel lavoro di scuola e a scuola?

Il lavoro nella scuola, oggi, è ancora il più garantito anche se gli elementi di flessibilità introdotti evidenziano precarietà nel suo esercizio, sovraccarico di impegni, invecchiamento delle risorse di personale e indebolimento delle ragioni pedagogiche ed etiche.

Anche nella scuola si sentono i sintomi di un approccio al lavoro dettato da atteggiamenti strumentali, da comportamenti rinunciatari, da incapacità a rappresentarsi dentro una visione progettuale ampia, al punto che vengono a mancare prospettive lavorative attendibili e si finisce per concentrare l’attenzione sugli aspetti economici e sulle ricadute più o meno negative in ordine alla stabilità sociale e alla sicurezza dei luoghi di vita quotidiana.

E’ un problema che attraversa tutte le generazioni, ma in particolare coinvolge i giovani che, nell’incertezza verso il futuro, faticano a costruirsi un cammino di preparazione al lavoro e a spendersi per una maggior competenza nel lavoro; quindi non serve porsi delle mete, meglio guardare all’oggi e al breve tempo della vita percepita.

Le ragioni e i significati che possono spingere verso nuovi orizzonti, sono prima di tutto di tipo educativo e interpellano ciascuno di noi ad interrogarsi entro quale prospettiva ci vogliamo collocare. La domanda che ci viene posta è questa: “Il nostro operare si riduce solo alle dimensioni tecniche, di trasmissione e di elaborazione delle competenze cognitive, relazionali e metacognitive, oppure si fa carico anche di costruire e di proporre una visione progettuale orientata ad un personale progetto di vita non solo per i bambini ed i ragazzi, ma anche per gli adulti: insegnanti, dirigenti e genitori?”

Per cercare una risposta occorre, in prima istanza, far crescere la consapevolezza che il lavoro, ed in particolare il lavoro educativo, in principio si fonda su relazioni umane e sociali la cui dinamica richiede al soggetto “un nuovo spirito creativo e una nuova formazione capace di incidere non solo sugli aspetti cognitivi, ma anche espressivi, simbolici e relazionali del lavoro”… infatti non è “tanto una questione di adattamento a delle condizioni date, bensì una questione di progettualità, di innovazione, di vocazione professionale e di capacità imprenditoriali”.[1]

Si tratta quindi di cambiare l’approccio al lavoro e al lavoro educativo in particolare, affrontandolo non tanto dalla parte dei mutamenti imposti dall’economia e dagli interventi legislativi sulle strutture organizzative seppur importanti; quanto dal lato delle qualità umane delle persone e di una nuova visione centrata sulla relazione sociale, al di là di aspetti strumentali e utilitaristici. Ciò ha delle conseguenze sulle modalità di vivere l’insegnamento:

  • Da lavoro impiegatizio di applicazioni di norme, ad un lavoro che si fonda sull’autonomia didattica ed organizzativa;
  • Da un insegnamento legato alle forme delle discipline e alla rigidità di elementi burocratici, ad interventi che fanno leva sull’esperienza, la laboratorialità, i metodi attivi, la riflessività, l’autovalutazione dei soggetti;
  • Da forme di trasmissione e di elaborazione dei saperi di tipo strumentale ad approcci più espressivi e aperti alla ricerca;
  • Da azioni utili solo per l’individuo a interventi sempre più consapevoli e responsabili verso le dimensioni sociali e di sostenibilità umana e ambientale.

 

Pertanto bisogna essere consapevoli che il valore del lavoro educativo non deriva più dal monte ore di chi lo esercita, ma piuttosto dall’attenzione ai gesti che si compiono e dalle parole con cui comunichiamo; dalla creatività che caratterizza la qualità dell’insegnante e del dirigente, del prodotto e della perfezione metodologico-didattica; dallo sviluppo delle capacità e delle sensibilità umane. Si tratta in ultima analisi di valorizzare le qualità umane nel vivere il tempo a scuola per rendere significativi i processi educativi e rendere belli e eccellenti i prodotti e gli esiti finali.

Possiamo quindi dire che l’atteggiamento personale con cui ci si approccia alla professione è sollecitato da un profondo cambiamento sia sul piano oggettivo che sul piano soggettivo affinché l’identità lavorativa sia ricercata come espressione di un agire interiormente motivato, anziché costruita sulla conformità a ruoli prefissati. L’insistenza su quest’ultimi introduce dimensioni di rigidità, di individualismo e di frammentazione nei processi educativi e organizzativi. Coltivare la dimensione riflessiva e interiore del proprio lavoro aiuta a cercare nelle relazioni e in una visione reticolare dei ruoli e delle funzioni gli ambiti per sviluppare collaborazione, lavoro di gruppo, autonome capacità di cooperazione.

Si tratta di un cammino di umanizzazione e di personalizzazione del proprio impegno professionale sorretto da una continua vigilanza nel chiarire i motivi e gli scopi del proprio progetto professionale e nel desiderare una formazione continua, capace di arricchirlo e coltivarlo a proprio favore e a favore degli altri e della comunità intera.

In questi tempi aderire all’AIMC significa principalmente lavorare per una nuova cultura del lavoro educativo scolastico che vede il cammino di realizzazione di sé, delle proprie attitudini e competenze nella piena integrazione con gli altri come specifica vocazione professionale, cioè un’“impreditorialità creativa” protesa verso una prospettiva di crescita organica della persona umana secondo un processo:


  1. di umanizzazione del lavoro. Significa realizzare un compito con la massima perfezione possibile sia sul piano umano secondo competenza professionale, sia come ricerca del progetto divino nel mondo, a servizio dei fratelli; è questo un percorso di santificazione personale e delle realtà temporali per ordinale secondo Dio.


  1. di umanizzazione di se stessi nel lavoro. Significa saper vedere nel lavoro il luogo, il tempo, il mezzo del perfezionamento delle proprie qualità e aspirazioni umane. Incontrare personalmente il Cristo nel lavoro come luogo di vita ordinaria e come contenuto e contesto da santificare.


  1. di umanizzazione degli altri attraverso il lavoro. Il lavoro ha valenza inter-umana, se è ben fatto e ben eseguito e vissuto, è testimonianza attiva esempio positivo che si traduce in un aiuto concreto ed efficace per chi collabora alle varie attività e raccoglie i suoi frutti promuovendo relazioni di lealtà, di amicizia e di vicinanza.


3. Scelta educativa e professionista di scuola

Nel coltivare i tratti della sua professionalità il docente che vuole assumere la scelta educativa come dinamica costituiva della propria persona, della propria competenza e del suo essere nella scuola ha di fronte tre ambiti privilegiati e strategici.


3.1. La comunità professionale

La comunità professionale esprime unitariamente la comunanza di intenti educativi, didattici e professionali e vive le relazioni tra docenti come occasione significativa di confronto e di sviluppo professionale, di ricerca educativa e didattica, di innovazione scolastica e di approfondimento culturale e disciplinare.

Questa tensione richiede in particolare una cura della propria persona, un’idea guida per la progettazione e una condivisione di prospettive metodologiche.

a. Nei confronti dello smarrimento della tensione e della responsabilità educativa oggi è importante curare la propria crescita personale e professionale. E’ un impegno che deve caratterizzare tutti i soci Aimc e la stessa proposta formativa. Questo vuol dire:


– curare la crescita umana e spirituale della propria personalità;

– migliorare costantemente la propria competenza professionale attraverso lo studio personale, l’aggiornamento e la formazione;

– adoperarsi nella ricerca educativa per progredire verso nuovi e innovativi traguardi pedagogici, didattici, metodologici e disciplinari;

– coltivare rispetto, stima reciproca e parità di rapporti tra tutti i membri della comunità stessa, pur nella distinzione delle funzioni necessarie alla vita e all’organizzazione della scuola.


b. I docenti hanno bisogno di gustare la carica innovativa racchiusa nella progettazione didattica, se intesa come possibilità di:

– costruire un percorso di crescita;

– apprendere metodologie;

– sollecitare riflessività sulla pratica;

– favorire lo scambio di materiali didattici;

– documentare i processi;

– costruire cultura, anche attraverso temi fondamentali;

– organizzare la didattica per classi aperte, in forma cooperativa e laboratoriale;

– accogliere la valutazione come cammino di orientamento e di miglioramento continuo.


c. La dimensione tecnica racchiusa nella metodologia didattica va colta come ambito di servizio alla persona per accogliere i bisogni e gli interessi degli alunni con costante innovazione avendo a cuore:

– l’esperienza concreta da scoprire e analizzare insieme;

– l’accoglienza degli stili di vita;

– la valorizzazione delle idee e delle conoscenze spontanee degli alunni per lo sviluppo del pensiero critico;

– la valorizzazione del gioco;

– la cooperazione e l’aiuto tra pari;

– la elaborazione e la co-costruzione delle conoscenze;

– l’apertura e la partecipazione alle proposte del territorio.


3.2. La relazione educativa

La relazione educativa è il campo specifico di esercizio della vocazione educativa propria dell’insegnante e del dirigente scolastico. E’ dimensione che comprende due aspetti in interazione tra loro:

a. L’attenzione alla relazione interpersonale come cura della situazione scolastica di ciascun bambino e del suo accompagnamento con particolare attenzione a:

– dimostrare vicinanza, affabilità e buona educazione ai bambini e ai ragazzi nei vari momenti della giornata;

– valorizzare le risorse di ciascuno favorendo l’espressione, il dialogo, l’amicizia;

– esercitare un processo di osservazione attento a cogliere potenzialità, bisogni, difficoltà, oltre ciò che è manifesto, perché, insieme a tutti gli altri docenti, siano elaborate strategie di intervento e processi di personalizzazione adeguati ed efficaci.

b. la gestione della classe in chiave formativa con attenzione a:

– il clima di accoglienza e di coesione relazionale (confronto, corresponsabilità, interscambio), il supporto all’apprendimento, la cura dei materiali propri, il rispetto e la predisposizione intenzionale dei materiali di classe come elementi decisi del processo di costruzione di un ambiente efficace per l’apprendimento;

– l’aiuto e l’assistenza dell’alunno nell’affrontare gli impegni scolastici perché l’insegnante sia un punto di appoggio nel raggiungimento degli obiettivi e nella motivazione verso nuovi traguardi e aspettative più impegnative;

– l’unitarietà dell’azione didattica che deve esprimere, nell’intreccio tra aree disciplinari, discipline e competenze, i significati propri dell’intera proposta educativa.

– la valutazione orientata alla crescita umana, intellettuale e operativa della persona, sorretta da una varietà di metodi formali ed informali per osservare i progressi degli alunni.


3.3 La relazione adulta: docenti e genitori

La relazione tra genitori e docenti è un’area importante della responsabilità educativa verso le nuove generazioni da esercitare con il dialogo, l’esempio, la comunanza di intenti nell’ambito della reciprocità e distinzioni di ruoli e funzioni.

L’impegno a dare seguito ad una reale relazionalità è, nella situazione attuale, una sfida educativa che richiede di:

  1. approfondire la conoscenza e la condivisione delle idee ispiratrici del progetto educativo di scuola; della dimensione pedagogica sottesa all’attività didattica; della natura educativa delle regole della scuola;


  1. creare le condizioni per un ascolto reciproco, per uno scambio fecondo di informazioni e di consigli, per la verifica di impegni e di doveri individuali;


  1. avere modalità comunicative aperte fondate su rapporti significativi per una esauriente conoscenza della vita e del percorso scolastico del proprio figlio.

 

4. Verso processi partecipati dentro e fuori la comunità scolastica


La partecipazione veicola l’idea di responsabilità dei processi formativi nella scuola e della scuola verso gli utenti, primi fra tutti studenti e genitori, ma anche gli enti territoriali e la società in genere.

Tale responsabilità in linea generale non è mai mancata negli operatori scolastici, tuttavia oggi è forte l’esigenza di disporre di maggiori informazioni sulle modalità formative e sugli esiti dei processi scolastici non tanto in termini di controllo, quanto in termini di valorizzazione e di apprezzamento dei progressi raggiunti in vista della qualità delle competenze acquisite dagli studenti e del miglioramento della scuola.


Le istanze di trasparenza e di rendicontazione nella scuola sono ascrivibili ai seguenti tratti:

– un’istanza connaturale al ruolo e alla funzione pubblica svolta da soggetti individuali e da settori della pubblica amministrazione in rapporto alle responsabilità assunta, al mandato societario attribuito e alla missione organizzativa elaborata;

– un dovere di comunicazione e di informazione sull’operato della scuola, sui risultati conseguiti e un invito a rendere pubblici i risultati scolastici degli studenti per permettere ai portatori di interesse da una parte di sentirsi partecipi dei processi di sviluppo, dall’altra di rendere tutti i soggetti protagonisti delle scelte e delle decisioni da assumere;

– un impegno di caratterizzazione dell’identità della scuola verso l’individuazione del valore aggiunto nella formazione degli studenti;

– una modalità di regolazione dei processi verso il progressivo miglioramento dei risultati attraverso tecniche e strumenti di misurazione del valore degli esiti conseguiti dagli studenti;


Istanza, dovere, impegno identitario, modalità regolativa, processo di valorizzazione sono dimensioni che spingono ad un’attenzione ai processi educativi, formativi e gestionali della comunità scolastica, per migliorare la qualità del proprio servizio all’interno di un quadro di sistema che possa supportare il cammino verso il miglioramento.

Il problema più rilevante da affrontare riguarda il tema della responsabilizzazione rispetto ai processi di apprendimento degli alunni e al servizio scolastico da offrire alla comunità territoriale.

Rispondere a questa istanza richiede di far crescere tra i docenti e i dirigenti scolastici la consapevolezza che occorra integrare le responsabilità derivanti dalla coscienza e dalla competenza nell’operato individuale con il livello della responsabilità comune e collettiva della comunità scolastica, espressa nelle dimensioni organizzative, istituzionali e gestionali. Essa si configura non solo come semplice somma di singole responsabilità, ma come una dimensione che richiede processi specifici e, per certi versi, nuovi da alimentare e raggiungere con un’intenzionalità comune e condivisa.

Il cammino verso questo traguardo ha bisogno di essere sorretto da modelli e da strumenti specifici e adeguati, fino a far diventare la valutazione interna dell’unità scolastica, accompagnata dalla individuazione di parametri e indicatori comuni a livello nazionale su cui confrontarsi, un elemento decisivo per lo sviluppo di un sistema di rendicontazione come strategia di gestione della scuola e di creazione di valore per le attese sociali e lo sviluppo del Paese.



Graziano Biraghi




[1] Cfr. Comitato per il progetto culturale della Conferenza Episcopale Italiana (a cura di), La sfida educativa. Rapporto-proposta sull’educazione, Bari, 2009, editori Laterza, pp.91-92.

Educare alle e nelle relazioni

Educare a vivere è un’espressione che rilancia l’urgenza di una riflessione antropologica sull’uomo e sulla sua dignità,  come soggetto capace di costituire un fine verso cui orientarsi in prospettiva educativa e sociale. Si tratta in sostanza di manifestare il carattere generativo dell’educazione che innanzitutto ponga al centro la costituzione relazionale della persona, in cui la reciprocità costituisca una nuova rinascita per la persona stessa e la comunità in cui è inserita.

Ritrovare il senso educativo nelle relazioni tra le persone comporta in primo luogo la capacità di dar valore all’esperienza e ai suoi significati affinché il progetto del vivere si orienti a riconoscere le sue sorgenti e le ragioni dell’appartenenza ad una realtà più grande in cui formulare ipotesi, instaurare confronti, vivere conflitti. Il senso della vita è quindi un cammino in cui l’esistere umano ritrova unità e grandezza interiore attivando comunicazione, accoglienza, riconoscimento reciproco per fare memoria dei valori che lo animano e coltivare la speranza nel futuro.

Nell’ambito scolastico il termine educazione connota, per lo più, l’attenzione e le intenzioni che si rivolgono ai bambini e ai ragazzi per raggiungere il loro pieno sviluppo. Tuttavia sarebbe riduttivo fermarci qui. Occorre invece comprendere che anche a scuola è importante vivere la varietà di relazioni tra persone e soggetti diversi come aiuto e guida ad aprirsi oltre noi stessi nella consapevolezza che qualsiasi esperienza di vita non è né esperienza unidirezionale, né esperienza di solitudine, ma sempre aperta ed esposta agli altri. E’ in questo contesto relazionale che l’esperienza  di ogni persona diventa originaria perché, da una parte, viene attivata dall’incontro con l’altro; dall’altra, mette la persona stessa nella condizione di compierla affinché altri possano vivere esperienze significative.

La consapevolezza di questa reciprocità richiede quindi iniziativa fondata su obiettivi che abbiano valore, che portino alla coerenza dell’azione e che siano animati dal desiderio di comunione tra le persone. I rapporti suscitati da una tensione verso la reciprocità esigono che le relazioni tra persone si esprimano all’interno di una comunità in cui ogni impegno umano, sociale e intellettuale sia fondato su rispetto, stima reciproca e parità di rapporti tra tutti i membri, pur nella distinzione delle funzioni necessarie alla vita e all’organizzazione della comunità stessa.

E’ quindi dentro la persona che si sviluppa la socievolezza come agire, mentre impariamo a stare con gli altri. In questo senso parlare di persona diventa per noi riferirci al fatto di “essere con gli altri”, di “essere in relazione con”, proiettando l’idea di persona verso un orizzonte ricco di significati. Analogamente questa prospettiva ci aiuta a comprendere il senso delle relazioni di rete tra le istituzioni scolastiche e tra queste e i loro territori. E’ su questa base di reciprocità tra soggetti istituzionali e non che si fondano le basi di una vita sociale animata da azioni reciproche, verso intenzioni e desideri determinati al raggiungimenti di scopi comuni e condivisi.

E’ un circuito virtuoso da riportare a livello di consapevolezza includendo nella nostra attenzione non solo la professione come ambito di ricerca da attivare e da affinare, ma anche la persona del professionista, docente e dirigente, coattore della relazione educativa e della vita della comunità scolastica. La persona del docente e del dirigente scolastico è chiamata in causa nella sua interezza che è fatta certo di competenze specifiche, ma anche di esercizio di umanità, di sguardo positivo, di capacità di restituire senso al lavoro, all’impegno e alla responsabilità di tutti i membri della comunità professionale e dell’intera comunità scolastica.

In particolare la comunità professionale esprime unitariamente la comunanza di intenti educativi, didattici e professionali e vive le relazioni tra docenti come occasione significativa di confronto e di sviluppo professionale, di ricerca educativa e didattica e di innovazione scolastica.

Questa tensione richiede in particolare una cura alla crescita e alla formazione della propria personalità, un’idea guida, una visione fondata su una forte passione e un intenso impegno per l’apprendimento nell’articolazione della progettazione di scuola e la condivisione di prospettive metodologiche come ambito di servizio alla persona dell’alunno.

 

Graziano Biraghi